Una crepa silenziosa si sta aprendo sotto le fondamenta del mercato immobiliare europeo. E no, non si tratta solo di inflazione o cicli economici, ma di qualcosa di più profondo, sistemico e irrevocabile: il cambiamento climatico. Secondo uno studio pubblicato dalla Banca Centrale Europea, tra il 2007 e il 2022, gli edifici commerciali esposti a rischi fisici ambientali – alluvioni, ondate di calore, innalzamento del mare – hanno perso in media il 24% del loro valore rispetto ai loro omologhi “climaticamente sicuri”.
Lo studio Pricing or panicking? è il primo tentativo organico dell’istituzione di Francoforte di mettere nero su bianco come la crisi climatica stia modificando le valutazioni immobiliari. E se la svalutazione fosse solo l’inizio?
Il mercato non va in panico, ma cambia pelle
La buona notizia? Questo ricalcolo brutale non ha fatto saltare il banco. Non si è verificato alcun effetto domino, nessuna vendita in preda al panico. Il mercato ha assorbito l’impatto con una compostezza disarmante: gli immobili continuano a essere scambiati, anche quelli ad alto rischio. Ma da oltre un decennio, chi compra un edificio vulnerabile pretende uno sconto, segno che i rischi ambientali vengono finalmente incorporati nel pricing, come da tempo invocavano analisti e climatologi.
Transizione ecologica e valore: la selezione naturale degli immobili
Se il rischio fisico affonda il valore, quello di transizione – legato a normative ambientali sempre più stringenti – riduce anche la liquidità. Edifici vecchi, senza ristrutturazioni recenti, e senza adeguamenti energetici, faticano a trovare acquirenti. Peggio ancora: rischiano di diventare stranded assets, proprietà invendibili e prive di valore reale. È il mercato che compie la sua selezione naturale: sopravvive chi è efficiente, chi si adatta. Gli altri restano sul marciapiede, invenduti.
L’età dell’edificio e la data dell’ultimo intervento strutturale diventano variabili fondamentali per valutare l’allineamento con i nuovi standard ambientali europei. E se il comparto immobiliare è responsabile da solo di circa un terzo delle emissioni energetiche dell’Unione, è evidente che la posta in gioco è più alta del semplice margine di profitto.
L’importanza dell’APE
L’Attestato di Prestazione Energetica (APE) è più di un bollino colorato sulla planimetria. È il passaporto per l’idoneità climatica degli edifici nel XXI secolo. Non possederlo – o averne uno datato – significa navigare a vista in un mercato che diventa ogni giorno più selettivo e meno indulgente. La BCE sottolinea l’urgenza di standard comuni e database accessibili. Senza dati aggiornati sull’efficienza energetica, valutare il rischio reale diventa un gioco d’azzardo. E chi perde, paga caro.
Oggi più che mai, l’APE non è solo un requisito normativo, ma uno strumento strategico per proteggere il valore degli asset immobiliari, facilitare l’accesso al credito, e costruire una resilienza sistemica al cambiamento climatico. È l’unità di misura della credibilità ambientale di un edificio, e presto anche della sua bancabilità.
La BCE lancia l’allarme: servono strumenti macroprudenziali che tutelino il sistema finanziario da shock climatici. Ma serve soprattutto un cambio di mentalità. L’era dell’immobile come bene statico è finita. Benvenuti nella stagione della trasparenza ambientale.